Pubblicato il DPCM con tabelle di equiparazione per i processi di mobilità della PA

Tabelle di equiparazione e DM mobilità
17/09/2015 E’ stato registrato alla Corte dei Conti il DPCM di “Definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale”; in altre parole il provvedimento con cui il Governo dispone unilateralmente l’equiparazione tra i diversi livelli di inquadramento dei lavoratori dei comparti pubblici, allo scopo di avviare processi di mobilità da un comparto all’altro della Pubblica amministrazione, nell’ottica di una presunta razionalizzazione degli apparati.

E’  stato  registrato  alla  Corte  dei  Conti  il  DPCM  di “Definizione  delle  tabelle  di equiparazione  fra  i  livelli  di  inquadramento  previsti  dai  contratti  collettivi  relativi  ai diversi  comparti  di  contrattazione  del  personale  non  dirigenziale”;  in  altre  parole  il provvedimento  con  cui  il  Governo  dispone  unilateralmente  l’equiparazione  tra  i  diversi livelli  di  inquadramento  dei  lavoratori  dei  comparti  pubblici,  allo  scopo  di  avviare processi di mobilità da un comparto all’altro della Pubblica amministrazione, nell’ottica di una presunta razionalizzazione degli apparati.

I  trasferimenti  potrebbero  implicare  uno  spostamento  fino  a  50  chilometri  dei lavoratori coinvolti nelle procedure di mobilità, ma- assicura il provvedimento- dovranno avvenire “senza pregiudicare, rispetto al requisitodel titolo di studio, le progressioni  di carriera acquisite”.

Invece non è così, e con il DPCM si mette mano ai processi di mobilità senza aver valutato  approfonditamente  le  molteplici  implicazioni  giuridiche  ed  economiche  che  il passaggio lavorativo da un ministero a un ospedale,da una provincia a un ente di ricerca, da  una  scuola  a  un  Comune  comporta,  in  primis  professionalità,  riqualificazione  e formazione  che  sono  aspetti  fondamentali  per  affrontare  con  successo  i  percorsi  di cambiamento.

Nelle  tabelle  è  del  tutto  evidente  la  scelta  del  Governo  di  ignorare  le  garanzie contrattuali attualmente esistenti sia per quanto riguarda gli ordinamenti professionali che per le carriere.

Dalle  tabelle  non  si  evince,  per  esempio,  alcuna  possibile  mobilità  dei  lavoratori della Croce Rossa verso il SSN ed è evidente che lacollocazione in profili amministrativi anche  di  medici  e  operatori  sanitari  ne  snaturerebbe  completamente  la  vocazione  e  la professionalità acquisita negli anni.

Per quanto riguarda il comparto scuola il DPCM e leannesse tabelle non precisano che si tratta di mobilità “in uscita”, verso altre amministrazioni, e non certo di mobilità “in entrata”. Le norme vigenti sul reclutamento di docenti, personale educativo, personale Ata prevedono  il  possesso  di  requisiti  specifici,  titoli  di  studio,  piani  di  studio,  abilitazioni professionali molto precise per funzioni finalizzate all’erogazione del servizio scolastico sancito  dalla  Costituzione  come  diritto  fondamentale  della  persona.  Queste  norme  sono richiamate sono in modo generico all’art. 2 comma 1nel Dpcm.

Sempre  dalla  tabella  9  tutti  i  docenti  della  scuola primaria  e  dell’infanzia  sono inquadrati in Area II, anche se laureati. Questo non è accettabile, considerato che il profilo docente è un profilo unico e da oltre 15 anni per  accedere all’insegnamento nella scuola primaria e dell’infanzia è obbligatorio il possessodella Laurea. Questa discriminazione tra laureati della scuola secondaria e laureati della scuola del primo ciclo non ha più ragione di esistere neanche sotto il profilo legislativo.

Nel comparto università in particolare per gli EP (Elevate Professionalità), che hanno come  requisito  di  accesso  la  laurea  +  la  specializzazione  o  abilitazione  professionale (avvocati,  architetti  ecc.)  ed  hanno  mansioni  assolutamente  paragonabili  ad  esempio  ai tecnologi degli Enti Pubblici di Ricerca, la proposta di inquadramento in caso di mobilità è estremamente  penalizzante.  Guardando  agli  altri  comparti  del  Pubblico  Impiego  si  nota come  nessuno  possa  essere  inquadrato  in  EP  ma  come  viceversa  gli  EP  dell’  Università possono essere inquadrati in tutti i comparti.

L’unico  criterio  seguito  per  la  redazione  delle  tabelle  di  equiparazione  realizza  un sistema  di  inquadramenti  terribilmente  penalizzante per  i  lavoratori  e  discriminante, basato esclusivamente sulla retribuzione tabellare;un criterio “al ribasso” che stabilisce un principio di risparmio laddove sancisce la riassorbibilità dell’assegno ad personam per gli aumenti  di  salario  a  qualsiasi  titolo  conseguiti  successivamente  e  che  lede  i  diritti contrattuali acquisiti dai lavoratori, sia nell’inquadramento iniziale, sia nella progressione di carriera legata all’anzianità. La generalizzazione degli assegni riassorbibili nasconde un blocco contrattuale economico pluriennale.

Nell’Afam  il  criterio  dell’equiparazione  legata  esclusivamente  ad  aspetti  economici produce  un  vulnus  irreversibile  pretendendo  di  comparare   musicisti  scultori,  registi ecc…ai  lavoratori  con  profilo  amministrativo.  Il vulnus  aumenta  laddove  si  propone  la separazione  tra  docenti  di  I  E  II  fascia  in  base  al titolo  di  studio.  Si  tratta  di  una discriminazione  totalmente  priva  di  fondamento  e  lesiva  sia  dei  diritti  soggettivi  dei singoli lavoratori.

Nella premessa al DPCM si afferma che le posizioni stipendiali del personale della scuola e dell’AFAM sono “definite per fasce di anzianità”, quindi non  si indicano quadri di  corrispondenza.  Però  alla  tabella  9,  poi,  non  ci limita  ad  indicare  solo  l’Area  di corrispondenza  del  comparto  ministeri  (ovvero  l’Area  III,  l’Area  II  o  l’Area  I)  ma, illegittimamente,  si  fa  riferimento  alla  posizione  stipendiale  che,  per  tutti,  è  solo  quella iniziale (ovvero la F1 o F2 rispettivamente).

Per gli enti pubblici di ricerca l’equiparazione del collaboratore tecnico degli enti di ricerca appare impropria dal punto di vista imprescindibile del profilo professionale. La diminuzione retributiva prospettata è di tale impatto che per un Cter V o IV livello in caso di passaggio ad altro comparto conserverebbe un maturato economico talmente corposo, da impedire qualunque ulteriore incremento per il futuro di natura contrattuale. Del resto le  ragioni  che  escludono  i  ricercatori  e  tecnologi  per  la  loro  specificità  sono  in  buona misura le stesse che giustificherebbero l’esclusione del personale tecnico, le cui peculiarità professionali sono  evidentemente  ignorate  dalla  logica  che  ha  costruito  le  equiparazioni proposte.

All’incontro  con  il  Ministro  Madia  la  Cgil  aveva  chiesto  che  fosse  esplicitamente previsto l’esame congiunto con le OO.SS. di tutti gli atti di inquadramento adottati dalle amministrazioni  in  seguito  al  DPCM  tabelle  di  equiparazione,  ma  il  testo  del  decreto dimostra  tutta  la  mancanza  di  volontà  degli  interlocutori  governativi  ad  aprirsi  a ragionamenti di merito che possano dare risposte concrete alle necessità e alle istanze dei lavoratori soggetti a mobilità ed è per queste ragioni che la Cgil ha dato mandato ai propri legali  di procedere  all’istruttoria  per  l’apertura  di  un  possibile  contenzioso  sul provvedimento.

Con la stessa visione limitata e gli stessi criteri“al ribasso” è stato varato il DM per la  mobilità  dei  lavoratori  delle  Province,  del  personale  di  polizia  provinciale  e  del personale della CRI, in attesa di visto dalla Cortedei Conti.

In seguito al riordino previsto dalla Legge Del Rioi dipendenti in soprannumero che dovranno  trovare  una  collocazione  presso  le  Regioni,  i  Comuni,  il  Servizio  Sanitario Nazionale o anche il Ministero della Giustizia e quello delle Infrastrutture e dei Trasporti manterranno il trattamento economico fondamentale eaccessorio “limitatamente alle voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa”.

Il  provvedimento  contraddice  la  ratio  della  riforma Del  Rio  in  quanto  viene  data priorità  alle  esigenze  di  riduzione  degli  organici  degli  enti  provinciali  e  delle  città metropolitane,  piuttosto  che  alle  esigenze  di  continuità  dei  servizi  che  possono  essere mantenuti  solo  se  si  tiene  in  considerazione  la  professionalità  del  personale  interessato.

Inoltre,  rimane  poco  chiara  la  parte  in  cui  si  parla  dell’inquadramento  dei  dipendenti provinciali  trasferiti  in  mobilità  per  i  quali  non  sembrerebbe  scontato  il  mantenimento della retribuzione all’atto del trasferimento.

Questa agghiacciante confusione normativa e mancanza di garanzie è frutto di tutte le misure riduttive sulle risorse delle Province e,in particolare, del comma 418 della legge di stabilità per il 2015 (L. 190/2014) che prevedeuna riduzione della spesa corrente per le Province  pari  a  1  miliardo  (1.180  milioni)  di  euro per  il  2015,  2  miliardi  per  il  2016  e  3 miliardi  per  il  2017.  E’  evidente  che  con  un  taglio delle  risorse  simile  il  Governo  abbia dovuto derogare al principio della legge Del Rio e stabilire che i trasferimenti di personale non comportano trasferimento di risorse finanziarie.

Per  i  dipendenti  della  CRI,  poi,  il  DM  prevede  la  mobilità  unicamente  verso  le funzioni centrali, escludendo in maniera esplicita la possibilità di trasferimento sia verso il SSN  che  verso  le  Regioni,  con  la  conseguente  forte  perdita  di  professionalità  di  questi lavoratori  e  la  grande  penalizzazione  che  ne  subisce  il  servizio  pubblico  in  termini di qualità. I dipendenti della CRI sono esplicitamenteesclusi dal contingente di 2000 unità in mobilità  verso  il  Ministero  della  Giustizia  ex  L.132/2015  e,  con  un’evidente  disparità  di trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori,  è sancita solo per loro la non applicazione del meccanismo dell’assegno ad personam anche nel caso di mobilità obbligatoria.

La  proposta  avanzata  dalla  Cgil  va  nella  direzione  esattamente  contraria  a  quella voluta dal Governo, frutto di politiche miopi e discriminatorie e di continui tagli agli enti locali, e  prevede  l’estensione  a  tutta  la  mobilità  obbligatoria  delle  norme  del  comma  96 della Legge 56/2014 in modo da congelare i  trattamenti economici  in essere, senza oneri per la finanza pubblica.