L’altro 11 settembre: il processo Condor – la testimonianza di Isabel Allende

08/06/2015 Venerdì 5 giugno, nell’aula bunker di Rebibbia, Isabel Allende ha ricordato i tragici momenti vissuti dal padre, Salvator Allende, di quell’11 settembre del 1973, passato alla storia come l’inizio della strategia golpista degli anni settanta in America Latina.

Sono da poco passate le quattro del pomeriggio di venerdì cinque giugno, quando, nell’aula bunker di Rebibbia, il Presidente della Corte chiede di sospendere la testimonianza della signora Ana Quadros  che, scavando nei propri ricordi e riaprendo ferite mai chiuse, risponde alle domande del Pubblico Ministero, descrivendo le torture e le violenze subite nei locali del famigerato “automotores orletti”, una ex-officina meccanica nel centro di Buenos Aires, adibito a centro di detenzione clandestina dai militari golpisti argentini e uruguayani.
Entra quindi nell’aula una signora dal fisico asciutto, slanciata, sicura di sé, con il passo deciso, come chi è abituata ad essere al centro dell’attenzione, ma con gli occhi smarriti come tutti i testimoni che entrando cercano una guida che indichi loro il percorso da seguire ed il posto dove sedere. Il Presidente della Corte le chiede di dire le proprie generalità, la signora risponde: “sono Isabel Allende, nata il 18 gennaio del 1945 a Santiago del Cile, figlia del Presidente Allende …”, oggi Presidente del Senato e Presidente del Partito Socialista del Cile.

La testimonianza di Isabel Allende, nel processo Condor, è collegata alla vicenda di Juan José Montillo Murua, originario del Piemonte, membro della guardia privata del Presidente, che rimase al suo fianco fino all’ultimo, per poi essere trasferito, insieme alle altre persone prese nella Moneda, alla caserma Tacna e quindi giustiziato, in una località chiamata Pendehue, ma il cui corpo non è mai più stato trovato.
La domanda chiave, per il dibattimento processuale, è se, in quella mattina dell’11 settembre 1973, Isabel Allende, chiamata dal padre nella residenza presidenziale, ha visto Juan Montillo tra la guardia civile che rimase con il padre alla Moneda.
Durante la testimonianza la signora Allende, ha detto di non ricordare i nomi delle persone che facevano parte della guardia civile (GAP) ma mostratale una fotografia che ritrae il padre con tre componenti della guardia, nei momenti che hanno preceduto il bombardamento e l’assalto, ha riconosciuto i volti come persone note che accompagnavo il padre, e tra questi vi era anche Juan Montillo.
Ma il racconto, oltre a questa evidenza giudiziale, ha un valore storico e politico di particolare rilevanza, di quei momenti, quando Salvador Allende, riunì la famiglia nella residenza presidenziale, pensando di metterla al sicuro da possibili violenze, ancora incapace di credere al livello di attaccato e di tradimento programmato contro la democrazia cilena e contro la sua persona,dai militari golpisti.

La ricostruzione di quell’undici settembre, da parte di Isabel Allende mette in luce, attraverso le decisioni che furono prese, nel corso della mattinata, dal padre,  come questi  arrivò a comprendere di ora in ora, fino a che punto era arrivato il tradimento delle forze armate cilene, giungendo alla drammatica conclusione che non vi sarebbe stata nessuna possibilità di salvezza per lui.
Prima cercò di mettere in salvo la famiglia ma poi capì che neppure la residenza presidenziale sarebbe stata indenne da bombardamenti e assalti, quindi, negoziò un salva-condotto per la propria famiglia, fidandosi di un Generale che in realtà non fece nulla di quanto promesso. Si rivolse, poi, ai suoi collaboratori invitandoli ad abbandonare la Moneda per evitare inutili spargimenti di sangue, ma i collaboratori più stretti e la sua guardia civile rifiutarono di lasciarlo solo. I militari golpisti gli offrirono ripetute volte di arrendersi e di lasciare la Moneda, assicurandogli la incolumità ed il trasporto aereo per l’esilio, sempre rifiutato. Si seppe poi, ha testimoniato la Signora Allende, grazie a documenti e registrazioni telefoniche desecretate, che, in caso di resa, l’ordine era di simulare l’incidente aereo o la scomparsa di Allende e del suo seguito,  a conferma della decisione di “soluzione finale” impartita da Pinochet.

Le figlie fuggirono a piedi, lasciando la Moneda, giusto nel momento di ritirata degli assalitori per consentire il bombardamento dell’aviazione, e si salvarono in modo rocambolesco facendo l’autostop e simulando le doglie della sorella, incinta di sette mesi. Trovarono rifugio nella casa di una amica di famiglia, dove nel pomeriggio ricevettero la notizia della morte del padre da uno dei medici che lo accompagnarono fino all’ultimo. Da quel momento iniziò l’esilio, in Messico, che durò fino al 1989.

Al termine della testimonianza, il Pubblico Ministero Tiziana Cugini ha ringraziato Isabel Allende, per la testimonianza della sua esperienza personale al fianco di un padre che è stato considerato da tutti i testimoni fino ad ora ascoltati, come un padre della patria, un padre di tutti, e che ci ha permesso a noi di rivivere questa storia e di apprendere una storia che ci serve per crescere.

Questo è successo venerdì cinque giugno del duemilaquattordici nell’aula bunker di Rebibbia.