Jobs Act: il contratto a tutele crescenti inviato al giudizio della Corte Costituzionale

Una giudice del Tribunale di Roma, in relazione ad una vertenza promossa dalla CGIL per licenziamento illegittimo, ha deciso di sottoporre il contratto “a tutele crescenti” del Jobs Act (d.lgs. n. 23/2015) al giudizio della Corte costituzionale, per violazione degli articoli 3, 4, 35, 117 e 76 della Costituzione.

La Cgil ha fin dall’inizio considerato il d.lgs 23/2015 come una delle architravi più negative della complessiva riforma del Jobs Act, perché di fatto fonda la positiva volontà di sostenere le assunzioni a tempo indeterminato sulla attenuazione delle regole in caso di protezione di ingiusto licenziamento, spostando in misura significativa gli equilibri del conflitto di interessi nei rapporti di lavoro a favore del contraente più forte, l’impresa.

 La disciplina prevista dal d.lgs prevede, solo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, l’eliminazione pressoché totale della tutela reale prevista dallo Statuto dei Lavoratori in caso di licenziamento illegittimo e un sistema di tutela risarcitoria molto debole, con i conseguenti effetti di indebolimento della condizione del lavoratore in azienda e con l’eliminazione di una importante funzione di deterrenza garantita dalla normativa precedente, ancorché già precedentemente modificata con la Legge Fornero.

La giudice romana, dott.ssa Cosentino, pur sottolineando come la Corte Costituzionale abbia in più sentenze stabilito che la tutela reintegratoria non costituisce l’unico possibile paradigma attuativo dei precetti costituzionali, sottolinea in modo puntuale, i punti fondamentali per i quali tale decreto contrasta con molti principi costituzionali, anche sostenuti dalla CGIL.

In particolare:

  • Per quanto riguarda la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), infatti, l’importo dell’indennità risarcitoria stabilita dalle norme del c.d. “Jobs Act” non ha carattere né compensativo del danno subito dal lavoratore in caso di licenziamento illegittimo né dissuasivo nei confronti dei “licenziamenti facili”, con possibili conseguenze discriminatorie (un lavoratore “a tutele crescenti” sarà infatti certamente più esposto a provvedimenti espulsivi rispetto agli altri).

  • Lo stesso articolo 3 della Costituzione, cardine del principio di uguaglianza, viene inoltre negato in quanto l’eliminazione totale della possibilità, da parte del giudice, di modulare il risarcimento in relazione al singolo lavoratore, finisce per disciplinare in modo uniforme casi molto dissimili fra loro.

  • Gli articoli 4 e 35 della Costituzione, che tutelano il diritto al lavoro come valore fondante della Carta, sono sostanzialmente disattesi in quanto vengono monetizzati con un controvalore irrisorio e fisso.

  • C’è infine il contrasto con gli art. 117 e 76 della Costituzione, in quanto la sanzione per il licenziamento illegittimo appare inadeguata rispetto a quanto stabilito da fonti sovranazionali come la Carta di Nizza e la Carta Sociale europea, mentre il rispetto della regolamentazione comunitaria e delle convenzioni sovranazionali avrebbe dovuto rappresentare un preciso criterio di delega, che è stato pertanto violato. Da questo punto di vista è davvero interessante evidenziare come l’ordinanza prospetti la violazione dell’articolo 24 della Carta sociale europea (in materia di adeguatezza degli indennizzi), esattamente come sostenuto dalla Cgil nel reclamo collettivo che verrà presentato nelle prossime settimane al Comitato europeo dei diritti sociali.

La pronuncia del Tribunale di Roma, che vi inviamo in allegato, rappresenta quindi un significativo passo nella direzione auspicata dalla Cgil, e consente di portare il contratto a tutele crescenti, tramite un singolo ricorso (cui auspichiamo ne possano seguire altri), alla valutazione della Corte Costituzionale.

Tale percorso, come definito anche dopo il pronunciamento negativo della Corte Costituzionale sulla possibilità di adire il referendum in tema di licenziamenti illegittimi, è una delle strade che continueremo a percorrere, insieme al reclamo per la violazione della Carta Sociale Europea e al contrasto tramite la pratica contrattuale, per arrivare al ripristino di norme che consideriamo fondamentali principi di civiltà, come sostenuto anche nella Carta dei diritti universali del lavoro, il nostro progetto di legge che ha raccolto oltre 1,5 milioni di firme e sul quale,

grazie alla intensa mobilitazione di questi mesi di tutte le nostre strutture, è già iniziato un proficuo dibattito parlamentare.